Il signor D.

Tutti nella stessa tempesta. Non sulla stessa barca, ma nella stessa tempesta, davanti a un oceano agitato. Quella metafora era tra quelle che potevano forse, pensava D., rendere per immagine l’idea di quello che stava avvenendo.
Trovare metafore per sintetizzare una situazione gravissima e complessa come una pandemia non gli sembrava semplice. I mass media avevano, a suo parere, la responsabilità di aver fatto in molti casi una comunicazione non chiara e discutibile, anche nella scelta delle metafore. Al di là dei mass media, ogni persona avrebbe potuto comunicare meglio con gli altri, soprattutto quando si parlava di questioni scientifiche, sanitarie e politiche: lo riteneva importante. Ci avrebbe riflettuto ancora e avrebbe provato a dare il suo contributo.
D. era molto preoccupato. Non in ansia ingestibile, non ancora almeno. Molti aspetti del virus, delle possibilità di contagio, non erano stati chiariti scientificamente. I sistemi sanitari stavano cercando di reggere l’urto in modi differenti, in alcune Regioni sembravano non sostenerlo. Gli assetti economici stavano scompaginandosi e la vita sociale era in costante e imprevedibile evoluzione. L’ incertezza accompagnava quei giorni.

D. rivolgeva a sé stesso varie domande…
Come fare la propria parte? Come dare importanza e valore “etico” al proprio tempo, nonostante i limiti imposti allo spostamento fisico e all’incontro con le altre persone?
D. desiderava comprendere al meglio possibile cosa stesse succedendo, e, una volta capito, comunicarlo. In effetti conoscere, capire, comunicare erano da anni parti del proprio lavoro. Ma anche il “sentire”, esplorando stati d’ animo e pensieri e il “condividere”, erano possibili linee guida in quella quarantena.
Era presto stato chiaro che in quel tempo molte “verità” sarebbero, nei tempi a venire, emerse.
Verità sulle istituzioni, sul sistema di mercato, sulle persone…molte persone si sarebbero trovate impreparate di fronte a realtà su cui prima non avevano forse mai riflettuto…come avrebbero reagito quelle persone?
Il virus non “sceglieva” le persone da colpire, né sceglieva chi colpire più gravemente. Non c’era alcuna intelligenza o scelta, nessuna volontà superiore.
Queste considerazioni non modificavano le sue precedenti riflessioni esistenziali, ma portavano D. a chiedersi come molte altre persone stessero affrontando anche queste questioni, ora che la pandemia rendeva alcune domande esistenziali ineludibili…
Tornando alle presenza umana, ai bisogni, alle necessità… le collettività come sarebbero riuscite a sostenere tutta la sofferenza che si stava sprigionando? Avrebbero avuto la forza di rialzarsi? D. pensava che ce l’ avrebbero fatta, ma, di nuovo, non sapeva prevedere “come.”

D. si chiedeva anche come lui stesse affrontando quel “tunnel”…si chiedeva cosa avrebbe potuto scoprire di sé e se questo poteva fargli paura. Ce l’ avrebbe fatta a sostenere le difficoltà a venire?
Iniziò a scrivere appunti, molti e di vario tipo, classificandoli. Poi iniziò a scrivere di sé. Pensò che scrivere avrebbe potuto aiutarlo a tenere una memoria, che è, credeva, ma con una metafora che ancora una volta lo convinceva parzialmente, radice di conoscenza, a sua volta conoscenza come rami verso la comprensione…occorreva poi l’ossigeno per le foglie…
Dopo aver scritto a lungo in prima persona, decise di iniziare a farlo in terza persona. Non era certo di sapere bene perché l’ avesse iniziato a fare in terza persona. Forse amava quello stile letterario, forse voleva prendere le distanze per mettere a fuoco. Forse lo riteneva un modo narrativo per condividerlo..
Scelse di mettere solo la propria iniziale per il nome del personaggio. Forse si rifaceva a Kafka o ad altri scrittori…Forse, ipotizzò, non aveva scritto il nome per intero perché quello che stavano attraversando era anche un percorso di nuova comprensione delle nostre identità, se questa parola, “identità”, in una vita in continua evoluzione, poteva avere senso…

D. pensava che…pensava moltissimo. Non troppo, non ancora almeno. In quella casa riusciva ad essere in comunicazione coi suoi genitori e, attraverso internet, con amici e conoscenti…quella “vicinanza emotiva” era importantissima…lo rendeva non solo un essere pensante, ma anche “senziente”…anche attraverso scritti, voce e video si potevano coltivare i sentimenti…credeva di sì, almeno temporaneamente, ma in una trepidante attesa dei prossimi incontri reali, dal “vivo”…
Adesso occorreva per responsabilità e rispetto verso sé stesso e verso le altre persone attendere che la situazione diventasse più sicura, prima di riprendere le attività esterne.
Nel frattempo cercare di respirare con calma e bene, nutrirsi bene, esercitare un po’ i muscoli del corpo…avere cura di sé era importante.
D. salì sul tetto del palazzo in cui viveva. Guardò in lontananza una striscia di mare del golfo di Napoli, poi San Martino, poi un albero in un giardino nelle vicinanze. Sentì il cinguettio degli uccelli, con suoni che arrivavano molto più nitidamente di circa un mese e mezzo prima, quando era iniziata la quarantena…
Guardava… e si scoprì a meravigliarsi ancora delle diverse sfumature dei colori del cielo al tramonto….

Daniele Pallotta | Appunti

l’abitudine #1

Giorno di quarantena numero 3 (+4).
Nell’adesso in cui mi trovo, sto valutando l’idea di scrivere una sorta di diario riflessivo riguardo questo periodo di confinamento domestico. Nonostante il paese sia stato dichiarato zona rossa da soli 3 giorni, è già una settimana che non sento su di me la luce del sole salvo averla brevemente intravista dal mio balcone di casa. I dubbi che mi assillano riguardo la scrittura di questo testo, di questi testi, sono i soliti riguardanti la sistematicità e la qualità che questa futura opera o prodotto (questo tema sarà forse trattato più avanti) dovrebbe avere per compiacermi. L’eventualità di una scrittura per se stessa, per tenermi impegnato o come catarsi rimangono lontane, purtroppo, dalla mia concezione di questa attività; fermo restando che potrebbero anche essere le suddette eventualità ad imprimere dentro di me, in questo momento, in modo sotterraneo ed occulto, la forza e la voglia di dedicarmi alla scrittura, o meglio, alla digitazione di qualunque nome sarà assegnato a quest’insieme di caratteri.
Le modalità con cui cerco di tenermi occupato nello scorrere di questi giorni sono sostanzialmente il recupero di vari film a casaccio, il corso di Estetica tenuto online su Benjamin, Sartre e Adorno di cui oggi si è svolta la seconda lezione e la “Genealogia della Morale” di Nietzsche, che assieme alla “Fondazione della Metafisica dei Costumi” di Kant e del “Nietzsche e la Filosofia” di Deleuze (già ampiamente letto), andranno a costituire il programma dell’esame di Storia della Filosofia Morale fissato, momentaneamente, per il 21 Aprile.

13 Marzo, ore 3:00-4:00
Le perplessità che mi suscitano la prima quarantina di pagine del testo di Nietzsche sono le stesse di quasi tutti gli altri suoi testi e saranno forse meglio esplicitate e affrontate nel corso di questa avventura.

“In quanto uomini completi, sovraccarichi di forza e perciò, necessariamente attivi, non sapevano separare la felicità dall’agire – presso di loro l’essere operosi veniva necessariamente considerata una condizione felice – tutto ciò in notevole contrasto con la felicità a livello degli impotenti, degli oppressi […] nella quale essa appare essenzialmente come narcosi, stordimento, quiete, pace, “sabbath”, distensione dell’animo e rilassamento del corpo, insomma in forma passiva.” (10)

Al fondo di tutte queste razze aristocratiche occorre sapere discernere la belva feroce, la magnifica divagante bionda bestia, avida di preda e di vittoria; di tanto in tanto è necessario uno sfogo per questo fondo nascosto, la belva deve di nuovo balzar fuori, di nuovo riservarsi. Sono le razze nobili di aver lasciato su tutte le loro orme la nozione di Barbaro ovunque esse siano passate […] questa audacia di nobili razze, folle assurda, improvvisa, il modo in cui essa si estrinseca, l’imprevedibilità, la stessa inverosimiglianza delle loro imprese, la loro indifferenza, il loro disprezzo per la sicurezza, il corpo, la vita, gli agi, la loro terribile serenità e la profondità del godimento di ogni distruzione, in ogni voluttà di vittorie di crudeltà – tutto ciò per coloro che ne soffrono, si compendia nell’immagine dei barbari, del nemico malvagio. (11)

L’esistenza dell’uomo nobile, attivo, signore, che dice sì alla vita, è in contraddizione, nei suoi atti di tracotanza e di volontà di dominio sugli altri, con la tranquillità ed il benessere sulla terra? E’ la volontà di dominio sugli altri individui una necessaria componente dell’uomo nobile o può questa venire a mancare in relazione a diversi contesti storico-materiali? È una concezione cristiano/giudaica (e quindi dell’uomo del risentimento) fare coincidere il benessere con la tranquillità e con la giustizia sul piano politico/sociale? E’ Cristiana una giustizia basata sul concetto di doverosa uguaglianza di possibilità tra gli uomini? Nella non repressione della volontà di potenza di ogni individuo? In ultima istanza, è possibile essere Nietzscheani e Comunisti?

Per il momento mi sento di concludere questa breve analisi affermando che il progetto anarchico e comunista insieme, sta proprio nella dissoluzione della contrapposizione tra l’uomo nobile attivo e quello passivo del risentimento, tramite l’annullamento dei paradigmi politici ed economici che determinano la repressione e l’oppressione degli individui e delle classi, e che fanno da sfondo e fungono da motore per lo sviluppo di un popolo di schiavi nel senso del risentimento.

14 Marzo
Giorno di quarantena numero 5 (+4)
Oggi la tecnologia mi ha offerto la possibilità di organizzare un incontro con i ragazzi del laboratorio teatrale nel quale, oltre ad esserci reciprocamente tirati su il morale attraverso voci ed immagini, abbiamo discusso di come portare avanti l’organizzazione dei progetti che avevamo in mente nell’attuale inconsueto stato di cose.
E’ venuta fuori l’idea di tenere un diario dove annotare pensieri, riflessioni sogni e sensazioni riguardanti questo periodo (e il caso/Zoe ha voluto che sia esattamente quello che sto già facendo da qualche giorno) per poi raccoglierli a farne venire fuori un ancora non meglio precisato qualcosa.
Devo però ammettere, mio malgrado, che quest’impresa potrebbe rivelarsi più difficile del previsto nella misura in cui vorrei evitare sia di scrivere banalità che di guardare direttamente in faccia l’abisso dell’incertezza temporale nel quale questa condizione sembra doversi protrarre.
Tra tutte le difficoltà del caso è senz’altro questa la più sconveniente e funesta.
L’incertezza della durata della pena è la più crudele tra queste; forse anche peggiore, nell’intensità del sentimento, della terribile delimitazione vitale dell’ergastolo, nella quale il punito può per lo meno disporre dell’amara consolazione di circoscrivere la sofferenza ad un frammento di tempo determinato dalla durata della sua vita.
Sono ben consapevole che risulti ironico ai limiti dell’esagerazione che io mi stia abbandonando ad affermazioni paradossali e a pensieri di questo tipo dopo soltanto una decina di giorni confinati nella mia abitazione e quali possano esserne gli effetti sul mio umore, quando questa è una condizione che mi sono più volte auto-imposto senza batter ciglio, con il discrimine della presenza di un’alternativa e della semplice consapevolezza che si trattasse di una mia spontanea decisione.
Queste poche banali considerazioni bastino ad esemplificare quale crudele tortura della carne e dello spirito possa essere quella malvagia istituzione che è il carcere.
Dopo Dio, l’uomo ha dovuto fare anche l’inferno a propria immagine e somiglianza.

17 Marzo
Giorno di quarantena 8 (+4)
Le cose cominciano leggermente a migliorare.
Lo sconforto, nonostante se ne stia sempre lì in agguato, come una animale selvaggio in attesa del momento migliore per cogliere di sorpresa la sua preda, sta cominciando pian piano a cedere il passo all’abitudine e il designarsi di una sottospecie di routine lo facilita in questo compito.
Inizia però a delinearsi l’idea di uscire di casa di nascosto, magari durante la notte, per non perdere il contatto con il reale e facendo attenzione al controllo sia verticale che orizzontale.

Giorno di quarantena XXX
Sia oggi che ieri mi sono svegliato attorno alle 17 essendo andato a dormire molto tardi.
O forse molto presto. Il concetto di tempo, nonostante il suo ordinamento sia così necessario ad ogni fine sulla Terra e oltre, è già troppo relativo persino durante la vita ordinaria.
La sua scansione durante questo periodo di isolamento risulta essere oltremodo difficile quanto a tratti perfino fastidiosa.

“Che giorno è? Che ore sono? Boh! E chi vuole saperlo! E perché dovrei?
Non c’è scadenza! Non c’è limite alcuno!
Non esiste domani, solo adesso! Domani non è nulla se non il dopo di adesso.
Quanti anni ho? Da quanti giorni sono qui? Per quanti ancora lo sarò?
Perdermi, per dio, è questo che voglio!
Solo il Sole e la Luna mi restano da sopprimere per raggiungere il mio intento.”

Così suonerei in un altro luogo, un luogo dove il futuro non arrivi, uno senza la necessità dell’economia, uno senza tecnica, senza gli altri, senza la certezza che tutto questo avrà una fine. Così suonerei in un altro tempo.

Cyruss Cacciatore | Diari

diario di guerra

14 marzo ore 18.00. Ormai da domenica 8 marzo viviamo tutti isolati in casa. Ubbidienti e impauriti crediamo a tutto quello che ci dicono e non opponiamo resistenza. Ci dicono la verità certamente, numero dei contagiati, morti e tutto il resto. Ma se invece ci fosse un colpo di stato ? Ci hanno chiuso in casa e quando usciremo qualcuno avrà preso il potere. Per anni ubbidiremo credendo di vivere in una democrazia. Forse non scopriremo mai più la verità. In cattività ci riprodurremo, insegneremo ai nostri figli a vivere rispettando le regole. Nessuna violazione sarà mai ammessa e neanche immaginata. La fantasia verrà distrutta e i robot che avrebbero dovuto liberare l’uomo dal lavoro materiale non saranno più necessari.
I nuovi padroni girano indisturbati e se la spassano ma noi non possiamo vederli. Alcuni hanno teorizzato che ci sarebbe stata una nuova dittatura che si sarebbe realizzata in maniera imprevedibile. Eccola qui! Noi come scemi ringraziamo i nostri carcerieri. Che gentili! Vanno per il mondo cosi’ pericoloso mentre noi restiamo in casa a produrre on line. Se proprio non riusciamo a produrre on line usciamo, produciamo e poi torniamo a casa. In questo caso ci sentiamo tanto sfortunati. Poveri noi! Usciamo per il bene della nazione e potremmo essere contagiati! Siamo cosi felici di poter pulire i nostri rubinetti che smontiamo finalmente e immergiamo nell’alcool bianco. Fantastico anticalcare naturale che lucida oggetti che nessun ospite potrà vedere più. Progettiamo di lavare puzzolentissime tende che svolgevano benissimo la loro funzione e questa pausa che immaginiamo temporanea ci sembra un regalo. Ma non mi avrete brutti stronzi. Vi ho scoperto! Non mi farò sedurre dal Vostro canto di sirene per il mio bene. Lascerò la mia sporchissima tenda dov’è. E il mio computer imperfetto che mi daproblemi con tutte le vocali accentate mi sembra un fantastico complice. La follia vincerà! Non mi ingannerete mai! Una mattina mi son svegliato….O bellaaaaa! Ciao! Ciao! Ciao!

14 marzo ore 19.44
Sto sentendo il telegiornale, mi sento una cretina per quello che ho scritto. Sono confusa.

16 marzo ore 17.52
In questi due giorni ho scacciato i pensieri di sabato alle 18.00, fantasie malate le ho definite. Ho lavato la famosa tenda del soggiorno, ora profuma. Ho ordinato la casa pensando a un lungo futuro senza tregue forzate, ho cucinato, chattato, letto, sono andata a lavorare e oggi pomeriggio a fare la spesa. Mentre ritornavo con le mie buste della spesa pensavo a tutti i concerti on line di questi giorni e mi sono immobilizzata per strada.
I miei occhi vedevano sì davanti a me la via, le macchine parcheggiate, la fila in sicurezza davanti al marciapiede, ma vedevano anche il mio ufficio, la produzione che resiste e tutte quelle persone a casa serene, fiduciose. Disoccupati, casalinghe, musicisti, registi,attori, gente tagliata fuori dalla produzione gente che ora lo stato si impegna a mantenere. Certo che li manteniamo, siamo brava gente.
Ma per quanto tempo la gente è brava gente?
Tra quanto tempo si dirà a chi continua a lavorare : tu corri dei rischi, esci con il virus e mantieni dei fresconi che nella vita non hanno fatto nulla o peggio hanno infastidito gli altri cantando recitando e suonando? Tu hai mantenuto gente non seria, parassiti. Ora non è più possibile, vanno eliminati. Certo, se tra questi inutili c’è qualcuno che ti è caro lo risparmiamo, sotto la tua personale responsabilità. Sarai tu a provvedere a lui, non la collettività. Pensaci bene però, te la senti di caricarti il peso di un parassita?
E mentre ai dediti al lavoro vengono poste queste domande i teatranti sfaccendati suonano e cantano dalle finestre, ballano e incontrano di nascosto gli amanti.

16 marzo ore 20.00. Mi ha chiamato mia sorella: mia cugina Annalisa, 49 anni, è stata portata in ospedale con l’ambulanza.
Ma che cazzo mi invento.
Dio salva Annalisa, per favore.
Se succede a me mio figlio di 16 anni come deve fare?
Dio proteggici! Umberto proteggici!

20 marzo 2020 ore 22.56
Annalisa risponde ai messaggi, ieri stava abbastanza bene oggi così così.
Quando diminuisce la paura smetto di credere in Dio, ritorno atea fino al prossimo grande problema. Oggi sono andata al lavoro con mascherina e guanti, facciamo i turni da soli in ufficio un giorno a settimana. Stasera alle 20.00 mi ha chiamato il direttore, tutti a casa fino alla fine dell’isolamento. Sembra una cosa che riguarda un ‘altra persona. Io sono Patrizia, non mi ammalo quasi mai e non ho mai avuto paura dei contagi ma oggi ho paura.
Ieri hanno citofonato: Polizia!
Ho aperto, sono saliti all’ultimo piano, il mio.
Stavo già guardando dallo spioncino quando hanno bussato.
Ho chiesto: “apro?”
“No signora non apra…a che piano è il b&b?”
L’ho detto e sono scesi. Come non essere banali e non pensare ai Monatti?
Soprattutto quel “non apra…”
Ora bevo la birra e penso, al sicuro certo, che qualche rischio bisogna pur correrlo.
Fanculo! Voglio la musica dal vivo, gli abbracci imprevisti, le risate e gli incontri.
Tra un mese ci suicideremo tutti buttandoci dai nostri balconi o abbracciandoci per strada.
Oppure tra un mese saremo assuefatti e resteremo in casa a non far nulla e moriremo di malattia, diversa dal corona virus.
Ora vado di là a sognare un mondo sottomarino e la musica malinconica di un suonatore di sassofono che sott’acqua mi arriva dritta allo stomaco.

Patrizia Iorio | Appunti

17 marzo

17 marzo 2020.
Stamattina mi sono alzata forse più stanca del solito ma felice di una nuova giornata che comincia. Fuori al balcone della mia stanza c’è il sole e sto imparando a godere del tempo che ho a disposizione in maniera più lenta ma più decisa. Appena mi alzo ripeto la stessa sequenza di tutti i giorni, da compiere in maniera quasi automatica, ma con la consapevolezza del valore aggiunto che attribuisco ad ogni singola azione. Ieri ho trascorso un’oretta in cucina da sola innanzi al ferro da stiro terminando tutto quello che era rimasto arretrato ed imparando un po’ alla volta a stirare le camicie da uomo; prima di questa quarantena forzata, lo stiro non era tra i miei pensieri soprattutto perché ritenevo tempo perso aspettare che la caldaia si riscaldasse. Oggi neanche quello mi sembra più tempo perso.

Domenica 19 aprile 2020. Mi sveglio di nuovo con la stessa grinta degli altri giorni e come sempre compio il mio rituale in cucina dando da mangiare al gatto, facendomi una colazione con tutta calma aspettando che esca il primo caffè della giornata e mi rimetto nel letto per una ventina di minuti. Subito dopo mi alzo di nuovo e vado a farmi la doccia per poi ritornare in cucina per un altro caffè da mettere sul fuoco e, aspettando di nuovo, comincio a muovere qualche passo a ritmo di una musica veloce in modo da svegliarmi completamente. Mi rendo conto che oggi è domenica e sembra che possa sistemare altri libri spolverando e facendo spazio tra le mensole…per ora torno a leggere per trovare l’ispirazione della giornata.

21 aprile 2020. Oggi comincia una nuova giornata e per fortuna ho la scusa per uscire un po’… con mia madre sto capendo che entrambe rimarremo sulle nostre specifiche posizioni solo che lei crede di essere superiore a noi poveri esseri umani che in questa situazione sono costretti a convivere con lei. Sto cercando di dare il meglio di me per evitare di arrivare a sfogare la mia rabbia in malo modo ma non sempre riesco a stare calma come vorrei. La comunicazione tra me e lei non funziona ed anch’io penso di lei che sia una bambina mai cresciuta. In base a cosa si misura la maturità di una persona? C’è una tabella da riempire a punti in modo che tu possa tirare i dadi o ripartire dal via quando non hai fatto tutti i punti necessari ad andare avanti sul tabellone? Chi è che stabilisce quali sono i parametri e fino a quanti punti devi accumulare per essere considerata matura?

28 marzo. Sto utilizzando il tempo per fare delle cose nuove ed utili per me stessa e per gli altri (componenti della mia famiglia) e mi rendo conto che non è per niente facile dover andare d’accordo per forza. Sto cercando di fare del mio meglio ma non sempre ci riesco. Il rapporto con mia madre, costrette tra queste quattro mura, a volte amplifica le sue difficoltà e mi fa vivere un senso di precarietà che in questi giorni si acuisce sempre di più. Sento che sto dando sfogo a dei sentimenti e delle passioni come prima forse non mi permettevo di fare e questo sicuramente fa bene a me ma non so quanto faccia bene a coloro che mi devono sopportare durante questo periodo. Fisicamente sento che non ho l’agilità che avevo qualche giorno prima della quarantena e questo mi pone in ulteriore difficoltà perché non mi sento in forma né fisicamente né psicologicamente perché me ne andrei a fare una corsetta sul lungomare alle sei di mattina ma questo non mi è permesso. Nel frattempo sto finendo di leggere un libro che mi sta appassionando: “Storia dell’Africa nera “ e mi sembra che sia capitato a pennello in un periodo in cui abbiamo più tempo per noi stessi. Ogni tanto penso al dopo, ad un domani migliore dove tutti ci possiamo riconoscere fratelli al di là dei nostri limiti e delle nostre paure.

Bianca Maria De Marco | Diario

Dimitri

In due giorni Dimitri aveva cambiato umore e un mattino di prima ora, in pochi attimi, come avesse nel suo cuore tuonato un lampo, tutto gli parve insensato e neutro, come privo d’ogni colore. Un pensiero aveva in lui fatto irruzione e lo aveva attraversato gelando le viscere e seccando le palpebre. Il giovane, stupito da se stesso, si consegnava così, arreso, a un’amara intuizione, da cui, incredulo e come privo di volontà, fu invaso, rapito. La visione che lo aveva assalito non incontrava resistenza, gli apparteneva e lo comprendeva: gli si era avvicinata come un aggressore, di cui la vittima, di spalle, avverte appena i passi e che solo l’imminenza dell’agguato mostra poi il volto.

Per anni, più volte, Dimitri aveva familiarizzato con seducenti immagini sinistre, ma mai un atto, che aveva considerato estremo quanto la più isolata e cruda delle anarchie, gli era così vicino e lo chiamava per nome come allora. Un demone, di fronte a tale insistente richiamo, restituiva al ragazzo un senso di sereno abbandono. Mai Dimitri, con tanta immaginativa partecipazione, aveva fotografato la nitidezza di quel frangente, e non sembrava affatto a conoscenza del motivo di quella fascinazione. Mai quel giovane aveva prima d’allora pensato davvero che avrebbe potuto aprire lentamente, ma senza tentennare, le imposte di quella finestra per poi guardare in basso per capire se fosse abbastanza alto. Mai pensò davvero che sarebbe potuto arrivare alla decisione di placare i tormenti dell’anima con un salto in picchiata per quei quattro piani che era stato solito ridiscendere a piedi per mesi.

Erano le 5,40 di primo mattino, il sole spuntava e coloriva le pareti delle case di fronte, e Dimitri, immobile alla finestra e a capo chino, guardava incredulo quella lontana pavimentazione di colore rosso pallido. Quella distanza, tra il giovane e il suolo, era quel mattino capace di animare fantasie in lui presenti ma remote prima d’allora. Ma nonostante quell’immagine suicida lo tentasse, Dimitri era pacato, e pacatamente fantasticava. Passarono minuti pazienti in quel silenzio che pareva eterno, ma quel ragazzo, poco più che trentenne, in quell’appartamento straniero, pareva voler decidersi fino in fondo se fosse per lui più conveniente l’esserci ancora o lo svanire per sempre. Rifletteva, laddove la scelta fosse ricaduta sulla morte, su dove avessero affisso i manifesti necrologici, quale foto avessero scelto per la tomba, e su chi ci fosse stato ai suoi funerali, soffermandosi soprattutto a immaginare chi ne avesse pianto la scomparsa, e cose come queste, che chi è stato sul punto di morte conosce. Ma fu, invece, un’immagine di vita e furono poche impressioni di un andare quotidiano l’ago della bilancia, che lo aiutarono a desistere dal lancio.

Tutte le volte, attraversando la città, a piedi, al ritorno dal luogo di lavoro, Dimitri incrociava gli sguardi dei passanti, e quando ci si era già oltrepassati, amaramente notava che quelle persone scomparivano dalla sua vita, che le avrebbe presto dimenticate. E se una donna era ai suoi occhi interessanti, l’angoscia moltiplicava; e se anche un uomo gli prestava attenzioni, Dimitri non divergeva da esse, e pure di lui, poco dopo e per poco, sentiva la mancanza.. nei primi cento metri dubbiosa e curiosa, poi una fitta angoscia lo assaliva e gli ricordava che il lui o la lei erano morti in Dimitri, e Dimitri era morto per loro. Tale fu la consapevolezza della morte ad ogni passo che con lucidità il giovane decise che tutte le morti che cercava erano ogni giorno in quelle mancanze e in quell’anonimato, in quel caotico mare di opportunità che non potevano essere soddisfatte.

Il peso di queste assenze lo tormentava: Dimitri ne era ossessionato a tal punto che a fine giornata, una volta nel letto, quando riusciva, provava a mettere insieme i tratti di quei volti e immaginava amicizie che non avrebbe mai vissuto. Nei suoi sogni le sagome di quegli sconosciuti si facevano familiari, avvertiva addirittura la stretta di una mano, il calore di un respiro, un odore della pelle. Al mattino si alzava sempre cosciente di essere solo al mondo, e sapeva che quella paura non avrebbe presto ceduto il passo alla serenità. Una volta in piedi andava a risciacquarsi il volto, a ravvivare i capelli, e insaponarsi lungo il petto, si guardava complice nello specchio e si diceva sussurrando: “sei solo, anche oggi..”.

La mattina che si svegliò e pensò di saltare dalla finestra anche si era detto le stesse parole. Quel mattino non era davvero certo, e ben lo si intuisce, di essere preparato ad affrontare un’altra noiosa giornata di lavoro, nonostante lo specchio gli ricordasse che aveva già indosso quegli abiti che lo assicuravano alla società civile. E dopotutto i suoi giovani anni non lo avevano ancora aiutato a rassegnarsi facilmente alla quotidianità. Dimitri quel mattino non sopportava l’idea della morte, e ancor meno sopportava l’idea di dover vivere. Ma capì d’essere già morto un milione di volte, e capì che un milione di volte era tornato a vivere.

Michele Luciano | Appunti

un normale pomeriggio

Ogni giorno prende luogo una lotta inconsapevole.
La follia del sogno viene sopraffatta dalla luce della ragione. Tale sopraffazione avviene mediante i rituali mattutini: gesti automatici, celebrati in attesa che la ragione s’impossessi del corpo.
Oggi ho rotto il più basilare dei rituali.
Mi sveglio. Ma non apro gli occhi.
So dove sono. Però non so se è stato il sonno di una notte o il riposo di un pomeriggio.
Ho interrotto il primordiale rito mattutino.
Ho tolto la vista alla ragione.
Un piacevole stato di inconsapevolezza mi prende.
Il rilassante non sapere.

Cerco di restare aggrappato al sogno che ho fatto, ma la follia è andata.
La ragione viene allarmata dall’incertezza, svegliata dalla paura di non capire. Vorrebbe bestemmiare ma è la ragione. La ragione non bestemmia, la ragione non perde la calma, la ragione non si agita, la ragione non gioisce (atarassica). Così in quello stato di semicoscienza, disorientata dalla perdita della vista, affermò che fosse un normale pomeriggio di marzo.

30.03
Prima:
La mia vita va veloce come un treno
Così veloce che non riesco a vedere dal finestrino il paesaggio
A volte si ferma
Prendo fiato
A volte la fermata è stimolante
Altre volte devastante
I passeggeri cambiano
Alcuni restano
Pochi arrivano al capolinea
Molti escono
Altri entrano
Il viaggio continua

Dopo:
Mono-tono
Monotema
Monogiorno
Monopersona
Monopasto
Monorario
Monomale
Monosentimento
Monomaschera
Monosogno
Monoessere
Monofare
Monomorte

Andrea Miranda | Appunti

l’abitudine #2

Giorno di quarantena n. 54.
Molto è cambiato dall’ultimo aggiornamento.
Molti stati d’animo si sono alternati, altri hanno fatto il loro tempo e dei nuovi sono sopraggiunti. L’esame di storia della filosofia morale mi ha tenuto occupato per la maggior parte di questo mese. Lo studio occupava intensamente le mie giornate e come tutte le attività intense si faceva sentire anche nei momenti in cui non era presente. L’esistenza di uno scopo, una nuova, anche se leggera, preoccupazione per una data incombente e la ritualità quotidiana che da queste derivava, andavano riducendo drasticamente la sofferenza dovuta al confinamento domestico, se non addirittura azzerandola.

Ebbene una diversa fase iniziò a delinearsi da subito dopo l’esame e senza più una finalità prossima a cui tendere, ma con la tranquillità che questo processo mi aveva elargito, cominciò per me una nuova routine.
Dopo alcuni giorni di riassestamento infatti smisi di andare a dormire all’alba.
Conformatomi agli orari dei comuni mortali è già una settimana che rispetto quello che dicono essere il “naturale” ciclo del sonno scandito dalle ore di luce e da quelle di buio.

Fu così che la luce ci scovò. Con il suo giungere perdemmo il conforto delle tenebre.
La realtà la accompagnava. Ciò che era stato sepolto tornò in superficie.
Riemerse allora l’indesiderata.
Paura era il suo nome. Verità quello di sua madre. Cominciò così la paura del ritorno della normalità. Il timore di perdere la tanto agognata stabilità.
L’uomo si abitua a tutto. Qualcuno disse che è esattamente per questo che è un vile.

Cyruss Cacciatore | Diari