Tutti nella stessa tempesta. Non sulla stessa barca, ma nella stessa tempesta, davanti a un oceano agitato. Quella metafora era tra quelle che potevano forse, pensava D., rendere per immagine l’idea di quello che stava avvenendo.
Trovare metafore per sintetizzare una situazione gravissima e complessa come una pandemia non gli sembrava semplice. I mass media avevano, a suo parere, la responsabilità di aver fatto in molti casi una comunicazione non chiara e discutibile, anche nella scelta delle metafore. Al di là dei mass media, ogni persona avrebbe potuto comunicare meglio con gli altri, soprattutto quando si parlava di questioni scientifiche, sanitarie e politiche: lo riteneva importante. Ci avrebbe riflettuto ancora e avrebbe provato a dare il suo contributo.
D. era molto preoccupato. Non in ansia ingestibile, non ancora almeno. Molti aspetti del virus, delle possibilità di contagio, non erano stati chiariti scientificamente. I sistemi sanitari stavano cercando di reggere l’urto in modi differenti, in alcune Regioni sembravano non sostenerlo. Gli assetti economici stavano scompaginandosi e la vita sociale era in costante e imprevedibile evoluzione. L’ incertezza accompagnava quei giorni.
D. rivolgeva a sé stesso varie domande…
Come fare la propria parte? Come dare importanza e valore “etico” al proprio tempo, nonostante i limiti imposti allo spostamento fisico e all’incontro con le altre persone?
D. desiderava comprendere al meglio possibile cosa stesse succedendo, e, una volta capito, comunicarlo. In effetti conoscere, capire, comunicare erano da anni parti del proprio lavoro. Ma anche il “sentire”, esplorando stati d’ animo e pensieri e il “condividere”, erano possibili linee guida in quella quarantena.
Era presto stato chiaro che in quel tempo molte “verità” sarebbero, nei tempi a venire, emerse.
Verità sulle istituzioni, sul sistema di mercato, sulle persone…molte persone si sarebbero trovate impreparate di fronte a realtà su cui prima non avevano forse mai riflettuto…come avrebbero reagito quelle persone?
Il virus non “sceglieva” le persone da colpire, né sceglieva chi colpire più gravemente. Non c’era alcuna intelligenza o scelta, nessuna volontà superiore.
Queste considerazioni non modificavano le sue precedenti riflessioni esistenziali, ma portavano D. a chiedersi come molte altre persone stessero affrontando anche queste questioni, ora che la pandemia rendeva alcune domande esistenziali ineludibili…
Tornando alle presenza umana, ai bisogni, alle necessità… le collettività come sarebbero riuscite a sostenere tutta la sofferenza che si stava sprigionando? Avrebbero avuto la forza di rialzarsi? D. pensava che ce l’ avrebbero fatta, ma, di nuovo, non sapeva prevedere “come.”
D. si chiedeva anche come lui stesse affrontando quel “tunnel”…si chiedeva cosa avrebbe potuto scoprire di sé e se questo poteva fargli paura. Ce l’ avrebbe fatta a sostenere le difficoltà a venire?
Iniziò a scrivere appunti, molti e di vario tipo, classificandoli. Poi iniziò a scrivere di sé. Pensò che scrivere avrebbe potuto aiutarlo a tenere una memoria, che è, credeva, ma con una metafora che ancora una volta lo convinceva parzialmente, radice di conoscenza, a sua volta conoscenza come rami verso la comprensione…occorreva poi l’ossigeno per le foglie…
Dopo aver scritto a lungo in prima persona, decise di iniziare a farlo in terza persona. Non era certo di sapere bene perché l’ avesse iniziato a fare in terza persona. Forse amava quello stile letterario, forse voleva prendere le distanze per mettere a fuoco. Forse lo riteneva un modo narrativo per condividerlo..
Scelse di mettere solo la propria iniziale per il nome del personaggio. Forse si rifaceva a Kafka o ad altri scrittori…Forse, ipotizzò, non aveva scritto il nome per intero perché quello che stavano attraversando era anche un percorso di nuova comprensione delle nostre identità, se questa parola, “identità”, in una vita in continua evoluzione, poteva avere senso…
D. pensava che…pensava moltissimo. Non troppo, non ancora almeno. In quella casa riusciva ad essere in comunicazione coi suoi genitori e, attraverso internet, con amici e conoscenti…quella “vicinanza emotiva” era importantissima…lo rendeva non solo un essere pensante, ma anche “senziente”…anche attraverso scritti, voce e video si potevano coltivare i sentimenti…credeva di sì, almeno temporaneamente, ma in una trepidante attesa dei prossimi incontri reali, dal “vivo”…
Adesso occorreva per responsabilità e rispetto verso sé stesso e verso le altre persone attendere che la situazione diventasse più sicura, prima di riprendere le attività esterne.
Nel frattempo cercare di respirare con calma e bene, nutrirsi bene, esercitare un po’ i muscoli del corpo…avere cura di sé era importante.
D. salì sul tetto del palazzo in cui viveva. Guardò in lontananza una striscia di mare del golfo di Napoli, poi San Martino, poi un albero in un giardino nelle vicinanze. Sentì il cinguettio degli uccelli, con suoni che arrivavano molto più nitidamente di circa un mese e mezzo prima, quando era iniziata la quarantena…
Guardava… e si scoprì a meravigliarsi ancora delle diverse sfumature dei colori del cielo al tramonto….
Daniele Pallotta | Appunti